1989 - Inaugurazione a.a. 1989-1990

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Palazzo della Sapienza, Aula magna nuova.

Inaugurazione a.a. 1989-1990
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INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO 1989-90, 646° dalla fondazione

RELAZIONE DEL RETTORE PROF. GIANFRANCO ELIA

 

Mi è particolarmente gradito ringraziare gli intervenuti e porgere il mio più caloroso benvenuto al Ministro Ruberti, testimone con la sua presenza dell’attenzione del Governo ai problemi di un Ateneo come il nostro, che tenta di unire, alla sua lunga e prestigio sa tradizione, una gestione politico amministrativa corrispondente alle esigenze della modernizzazione in atto.

Mi sia consentito di rivolgere un saluto particolarmente affettuoso al mio predecessore, Bruno Guerrini, che, nei sei anni del suo mandato, ha saputo fornire un esempio di amministrazione fondata sulla trasparenza e sulla democrazia, promovendo il confronto con le varie componenti del mondo universitario e con le istituzioni della più ampia società.

Il 1990, con cui questo secolo si avvia al suo tramonto, si presenta come un anno di grandi innovazioni per l’università, in cui nuovi indirizzi, nuove forme di organizzazione e di auto governo attendono di essere realizzati.

L’approvazione della legge istitutiva del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e il dibattito in corso sul disegno di legge relativo all’autonomia universitaria costituiscono, in questa prospettiva, eventi di singolare importanza.

L’Università di Pisa ha prontamente accolto le prescrizioni della legge 168 ed ha cominciato ad imboccare la strada per la redazione del nuovo Statuto e del nuovo regolamento amministrativo-contabile dell’Ateneo. Ha infatti costituito due gruppi di studio incaricati di predisporre e sistemare in forma organica il materiale documentario, indispensabile a disegnare e a ridisegnare l’assetto normativo dell’Ateneo. Gli attuali organi di governo universitario hanno ritenuto di dover procedere in tale direzione con cautela e prudenza, onde evitare, per quanto possibile, i rischi di un percorso certamente non privo di insidie. Ed hanno ritenuto di dover affrontare in parallelo sia la preparazione dello Statuto che quella del Regolamento a causa delle interdipendenze e connessioni esistenti tra questi atti.

Com’è noto, lo Statuto, dovrà stabilire la composizione e i compiti degli organi di gestione dell’università; individuare i criteri organizzativi per assicurare la responsabilità e l’efficienza dei servizi; definire l’ordinamento didattico e scientifico; consentire la compatibilità tra soluzioni organizzative e disposizioni finanziarie. Il Regolamento di ateneo dovrà disciplinare i criteri di gestione dell’università, le relative procedure amministrative, finanziarie, contrattuali, le forme di controllo interno sull’efficienza e sui risultati di gestione complessiva dell’università, nonché dei singoli centri di spesa, e l’amministrazione del patrimonio.

La preparazione del materiale di base da parte dei gruppi di studio sarà seguita da una fase di consultazione a cui saranno chiamati a partecipare Facoltà, Dipartimenti, Studenti, Personale Docente e non Docente, Organizzazioni Sindacali.

Si tratta di un cammino faticoso, forse non breve; ma bisogna rendersi conto che l’autonomia ha costi pesanti, che devono essere pagati per superare i condizionamenti del centralismo burocratico.

Una spinta decisiva in tal senso può provenire dalla legge sull’autonomia universitaria. Il relativo disegno di legge è tuttora al centro di un dibattito vivace e stimolante. Noi ci auguriamo che possa essere concluso, entro il 27 maggio (data entro la quale scatteranno i meccanismi di autonomia, anche se la legge non è stata

approvata), tenendo conto delle proposte migliorative avanzate da più parti.

In questo quadro la normativa può e deve individuare nuove fonti di finanziamento. L’autonomia senza risorse è una macchina senza energia, un caso vuoto e frustrante di esercizio politico.

La sfera pubblica non può che porsi in posizione determinante nella gestione universitaria. Alla nostra cultura sono del tutto estranei modelli di "fusione" università-impresa, che tendono ad esasperare gli aspetti aziendalistici, e lo spirito di imprenditorialità.

All’Università resta intatta la sua funzione di sede primaria della ricerca scientifica diretta ad operare nel pieno rispetto della libertà dei ricercatori e dell’autonomia di ricerca delle strutture scientifiche. E dall’Università proviene il trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie verso la più vasta società, da qui muovono i processi di innovazione e modernizzazione, che però hanno bisogno di essere sostenuti anche da apporti di competenze «esterne», appartenenti al mondo del lavoro, della produzione, degli enti pubblici territoriali, delle istituzioni internazionali.

Ed in questo senso la nostra Università ha stipulato numerosi contratti di ricerca e convenzioni con altri Enti, fra questi segnaliamo l’accordo con la Hewlett Packard e le convenzioni con l’ENEL, con l’ENEA, con l’ENI, con l’INFN, con il Ministero della Marina Mercantile, con l’Olivetti, con l’IBM.

L’Università è il luogo in cui si produce e si trasmette la conoscenza scientifica. E’ un luogo privilegiato per quanto riguarda la produzione della conoscenza; è un luogo esclusivo per quanto riguarda la trasmissione, che concerne la formazione di attitudini e di abilità per l’ulteriore produzione della conoscenza scientifica, la diffusione nella società delle invenzioni, scoperte, tecnologie.

Il problema ricorrente della insufficiente integrazione tra il sistema Università e il più ampio sistema sociale è un problema meramente empirico; tocca difficoltà di comunicazione discrasie incomprensioni, che investono la relazione mezzi-fini: Ma è ormai acquisita l’idea che la forza propulsiva del mondo contemporaneo risieda nella conoscenza scientifica. Perciò non ha molto senso chiedersi in che rapporto sia o possa o debba essere l’Università con la società: l’Università è semplicemente il momento espressivo più alto della società, in quanto società conoscitiva, o, se si preferisce, la variabile forte dell’essere e del divenire della società, l’ingrediente essenziale della coscienza che la società ha di se stessa e del suo destino.

Ma non si può non tener conto che il mutamento sociale, ora lento, ora appena percettibile, ora fortemente accelerato, deriva anche da un sistema di relazioni, centrato ormai più sui servizi che sui beni materiali, più sulla programmazione che sulla produzione. E l’Università è chiamata a svolgere compiti formativi e promozionali di primaria importanza; e quindi a misurarsi con la realtà produttiva, verificando e sperimentando le proprie proposte teoriche anche a livello applicativo.

 

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Dunque la correlazione tra università, ricerca, sviluppo può consentire l’affinamento delle conoscenze, la messa a punto di nuove tecnologie, la riduzione dei costi, l’aumento della produttività. Ma, alla base di questa «fertilizzazione incrociata» deve essere il rigoroso rispetto dell’interesse pubblico, dall’esaltazione dell’uomo e della convivenza associata, della difesa dell’ambiente, della salute della qualità della vita. Ed è appunto in questa direzione che può essere potenziata la costituzione di centri universitari, di servizi culturali, ricreativi e complementari, di residenze e strutture per la vita collettiva, di consorzi per progetti di ricerca, di iniziative a favore degli studenti.

Lo sforzo deve dunque essere diretto a coniugare gli studi e le ricerche con la capacità del sistema produttivo, con gli equilibri territoriali, ma anche con i nuovi modi di vita e di pensiero, con le nuove relazioni sociali prodotte dagli sconvolgenti processi innovativi della società dell’informazione. E l’università deve poter fronteggiare queste nuove prospettive con maggior numero di aule, di laboratori, di strumentazioni didattiche, con più sofisticate attrezzature di ricerca, con spazi e con strutture edilizie diversamente organizzate. Deve porsi obiettivi più ambiziosi con organici ricorsi alla collaborazione interdisciplinare, alle fecondazioni tra ricerca di base e ricerca finalizzata, alle interrelazioni tra i settori di punta, ai rapporti internazionali, al collegamento tra sviluppo scientifico, sviluppo economico, sviluppo culturale.

Occorre perciò prepararsi ad affrontare l’avventura europea degli anni ‘90 da più solide basi strutturali, da più consistenti e meno aleatorie fonti di finanziamento. Ad ogni modo va detto con soddisfazione che, anche nell’ambito dell’attuale normativa, l’Università di Pisa è riuscita a portare avanti ricerche di ampio respiro, di grande rilievo internazionale. Per tale attività l’Ateneo ha disposto di finanziamenti pari a 15.538.000.000 provenienti da:

Ministero P.I.        6.700.000.000

Altri Ministeri           138.000.000

CNR                       6.800.000.000

Altri Enti              1.900. 000. 000

 

Per l’attività conto terzi (art. 66) l’Università ha stipulato contratti per circa 5.200.000.000.

L’Ateneo partecipa al Consorzio Pisa Ricerche, che si occupa della promozione di attività di ricerca comuni a strutture pubbliche e private, al Consorzio Interuniversitario di fisica della materia, a quello di Ingegneria della qualità, destinato a promuovere solidi collegamenti tra università e aziende, per tecnologie, servizi, addestramento, specializzazione.

Merita poi sottolineare una peculiarità della situazione pisana.

Con Roma, Milano, Napoli, Pisa è una delle quattro maggiori sedi del CNR. L’Università è pienamente consapevole - come in più occasioni ha dimostrato - dell’importanza che presenta ad ogni livello una solida collaborazione con il CNR e ovviamente con altri enti di ricerca ed istituti locali. E in questo quadro ha conseguito risultati positivi.

E poi crediamo di poter dire, non senza orgoglio, che siamo impegnati Con successo anche in settori, come quelli delle scienze agrarie e veterinarie, chiamate a misurarsi con obiettivi diversi rispetto al passato, in relazione alla necessità di meglio coniugare la produttività con l’ambiente naturale. Il nostro Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro Ambientali "Enrico Avanzi", persegue ad esempio studi e ricerche di grande rilevanza, tra cui ricordiamo quelli sui sistemi colturali, sull’applicazione delle biotecnologie e sugli aspetti biologici della flora e della fauna degli agrosistemi.

In quest’anno sono state gettate le basi per l’ulteriore potenziamento e lo sviluppo di un altro settore, quello delle scienze mediche, oggi più razionalmente integrato con l’attività assistenziale, grazie alla convenzione che regola i rapporti Università-Regione nelle attività del servizio sanitario nazionale e regionale, e grazie alla relativa convenzione attuativa con l’USL n°12, firmata nello scorso ottobre dal Rettore Guerrini. Ha ora inizio la fase esecutiva e l’avvio dei primi adempimenti, espressione dei rinnovati rapporti di collaborazione tra l’Università di Pisa e il Sistema Sanitario Nazionale.

Grati a quanti hanno contribuito al conseguimento di questo risultato, esprimiamo il fermo intendimento di concorrere fattivamente alla realizzazione degli obiettivi convenzionali, che prefigurano il trasferimento graduale delle attività assistenziali al polo ospedaliero di Cisanello, ove è già collocata una unità operativa ed ove, entro il 1990, altre tre unità troveranno adeguata sistemazione ed ove verrà dato inizio ai lavori di costruzione del nuovo edificio della Clinica Oculistica.

Più in generale restano traguardi importanti per la Facoltà di Medicina e Chirurgia: il sostegno alla progressiva applicazione dei nuovi ordinamenti degli studi medici, l’applicazione integrale delle normative CEE per le Scuole di Specializzazione che prevedono la retribuzione e il tempo pieno degli specializzandi in vista del 1992, il varo privilegiato della griglia di diplomi necessari alla formazione universitaria del personale paramedico per il Servizio Sanitario Nazionale e il riordino dei Policlinici universitari convenzionati attraverso i solleciti lavori della Commissione istituita allo scopo ed i conseguenti atti legislativi.

Ritengo inoltre che una notazione particolare meriti il settore delle scienze umane. Sono forse maturi i tempi perché l’Università si impegni particolarmente in quest’area, che vede anche qui operare studiosi di notevole livello. E non è soltanto un problema di giustizia distributiva, legato all’erogazione dei fondi, al reperimento delle fonti di finanziamento, all’attenuarsi delle differenze strutturali tra discipline scientifiche e umanistiche (stante l’impiego ormai generalizzato di strumentazioni elettroniche). Ma il problema sorge anche in relazione al diverso ruolo che le scienze umane vanno assumendo in una società complessa, di civilizzazione postindustriale. Scienza, tecnologia e cultura devono poter trovare un giusto e più equilibrato rapporto, se si vuol costruire una società meno segmentaria, più attenta ai valori ed ai significati fondamentali della vita. Le innovazioni tecnologiche e gli sconvolgenti fenomeni di mutamento sociale da essi prodotti rendono sempre più precario - senza un adeguato supporto culturale proveniente soprattutto dalle scienze umane (che hanno bisogno di esser comunque rafforzare da già richiesti nuovi corsi di laurea) problemi dell’uomo, della sua integrazione con l’ambiente e con la società.

 

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E dalle discipline umanistiche attendiamo anche un contributo particolare alla ricostruzione critica della storia del nostro Ateneo, che deve prepararsi a ricordare il 650° anniversario della propria nascita, con riferimento non ad una data approssimativa o al semplice ricordo di qualche forma di insegnamento, ma alla fondazione ufficiale dello "Studio Generale", avvenuta nel 1343 con la bolla In Supremae Dignitatis.

Per l’Ateneo pisano ricordare questa data, sobriamente ma seriamente, è un impegno doveroso sia perché il 600° anniversario cadde in uno degli anni più terribili del nostro passato, sia perché il ripensamento della nostra storia e l’approfondimento delle nostre prospettive future possono e devono essere momenti diversi, ma inseparabili, della sempre maggior qualificazione di questa università come università di grande tradizione e, anche per questo di grandi potenzialità.

In questi 646 anni della sua storia - ma Pisa non ha bisogno di sottolinearlo con ridondanza, né di partecipare alla gara per l’Università più antica, cui si cimentano altri atenei - il prestigio e l’autorevolezza delle nostre Scuole si è sempre mantenuto ai massimi livelli. Direi anzi che, su queste basi, si è costruita, nel corso dei secoli, una università degli studi che ha lasciato, con i suoi maestri e con i suoi scolari, una traccia indelebile nella civilizzazione europea.

E un altro momento della nostra storia che merita di essere segnalato è, in quest’anno accademico, il 150° anniversario della fondazione della Facoltà di Agraria e di quella di Veterinaria, che deve essere ricordato non con iniziative di carattere puramente celebrativo, ma di seria analisi, delle attività passate e delle future prospettive.

Ed in gran parte su queste luminose eredità che ancora oggi Pisa vive e si sviluppa, attirando studenti e professori da ogni parte d’Italia e dall’estero, ed aumentando costantemente il numero dei propri iscritti.

Ma c’è un altro primato della nostra Università che merita di essere segnalato. Le sue iscrizioni (34.456 nel 1989) riferite al numero degli abitanti di questa città (99.773) danno un rapporto studenti-abitanti del 34,5% che è il più elevato di tutte le altre Università italiane (con l’esclusione delle Università della Calabria e di Urbino, che hanno una configurazione insediativa particolare). A ciò si aggiunga l’incremento dell’11% registrato, rispetto all’anno precedente, tra le nostre matricole (a cui contribuiscono soprattutto le Facoltà di Scienze matematiche, fisiche, naturali, di Economia e Commercio, di Ingegneria, di Giurisprudenza), nonché l’aumento del numero dei corsi di laurea (da 31 a 33), dei Dipartimenti (da 31 a 34), delle Scuole Dirette a Fini Speciali (da 4 a 7), e la consistenza delle 46 Scuole di Specializzazione.

Questi dati evidenziano in maniera inequivocabile che la città è indissolubilmente legata, nelle sue strutture fisiche e sociali, al contesto universitario, reso del resto più autorevole della presenza della Scuola Normale e della Scuola Superiore S. Anna.

Vi sono almeno due esempi che testimoniano l’attenzione riservata dall’Università di Pisa ai problemi dello sviluppo urbano.

Il primo è rappresentato dal Palazzo dei Congressi, costruito dall’Università su area messa a disposizione dal Comune e gestito da un comitato provvisorio composto da rappresentanti dei due Enti. A distanza di sei anni il PalaCongressi ha pienamente corrisposto alle aspettative ed ha esaltato la sua funzione di luogo di incontro e di confronto, di dibattito e discussione su problemi coinvolgenti sia l’Università che la più ampia società in cui si colloca. In effetti nel 1984 sono stati qui organizzati 11 congressi, 36 nel 1985, 57 nel 1986, 77 nel 1987, 77 nel 1988 e 93 nel 1989.

Resta tuttavia sul tappeto il problema di conferire un assetto normativo a questa gestione incrociata tra Università ed Enti locali. L’autonomia universitaria può oggi rendere meno improbabile questo obiettivo. Ma intendiamo evitare la costruzione di un ennesimo ente burocratico e pensare piuttosto, alla costituzione di un organismo dotato di personalità giuridica composto da rappresentanti dell’Università, del Comune, della Provincia, della Camera di Commercio. Ci auguriamo che la disponibilità che dimostriamo trovi accoglimento da parte degli Enti interessati, confermando la loro volontà politica e il loro impegno in favore di una struttura di raccordo tra università e città.

L’altro esempio da segnalare concerne la redazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Pisa.

Questa occasione ha fatto riflettere i due Enti sull’opportunità di integrare gli spazi Universitari nel tessuto sociale urbano.

Il Comune e l’Ateneo hanno allora formato una commissione mista, incaricata di predisporre un documento programmatico per delineare il futuro assetto edilizio dell’Università di Pisa.

Problema di fondo era quello di pensare alla destinazione degli spazi universitari, integrandoli nel tessuto urbano, così da attivare i processi di animazione socioculturale.

Rifiutata esplicitamente l’esperienza del campus (in una città che è del resto tutta un campus), la commissione, in un documento che ha ottenuto l’approvazione unanime del Consiglio di Amministrazione, propone la riorganizzazione dell’Università sul territorio attraverso un sistema di «poli» ossia di complessi edilizi che non sono semplici contenitori di aule, ma spazi di aggregazione per attività didattica, di ricerca, di servizi. Questa soluzione appare congeniale non solo al progressivo aumento delle iscrizioni, ma a quello altrettanto consistente delle frequenze, ed è anche proiettata verso il conseguimento di una maggiore produttività sociale. Una razionale disposizione spaziale dei poli può arricchire la comunicazione e i rapporti interpersonali, può consentire una più agevole fruizione degli stessi servizi amministrativi, può creare le condizioni per l’utilizzazione di spazi ricreativi e di spazi di ristoro.

Il polo deve insomma divenire un punto di aggregazione sociale. E su questa concezione la commissione ha delineato la strategia di organizzazione dei nuovi spazi universitari.

Così il polo medico di Cisanello, dove si trasferiranno, con l’indispensabile gradualità, le strutture di Medicina operanti nel S. Chiara. Così il polo dell’area S. Chiara e della Caserma Artale (destinata a dismettere la sua funzione militare), può costituire, per la sua dimensione e per la sua posizione nella topografia urbana, un nucleo fondamentale di raccordo tra attività universitarie e cittadine. In effetti questo polo è destinato ad accogliere non solo le sedi delle facoltà di Giurisprudenza Scienze Politiche e Scienze Naturali: ma ,anche attrezzature e servizi di rilevanza per la città e per l’Università, nonché spazi di studio, spazi ricreativi, punti di ristoro, residenze per studenti e per docenti: così da costituire una vera e propria area di vita comune. Si propone insomma di attivare qui una serie di funzioni urbane integrate con la residua città e non la costruzione di una chiusa cittadella degli studi, di un comparto monofunzionale segregato.

Uno dei poli «forti» è quello di via Buonarroti destinato ad accogliere i dipartimenti delle Scienze Informatiche, Fisiche e Matematiche per il quale il FIO, d’intesa e con il pieno sostegno del Ministero dell’Università e della Ricerca, ha concesso recentemente 40 miliardi che, assieme ai 13 miliardi stanziati dall’Università possono consentire il decollo di un’opera che dovrebbe concludersi nel prossimo quinquennio. Merita di essere sottolineato che l’importanza di questa iniziativa è stata compresa da tutto l’Ateneo e intorno ad essa si sono mobilitate e aggregate tutte le sue componenti.

Un altro polo sarà impiantato in via Matteotti, per le scienze economiche ed agrarie (sono già iniziati i lavori di fondazione di un grosso complesso didattico); il polo di lettere e lingue sorgerà nell’area S. Maria, negli spazi lasciati liberi dal dipartimento di Fisica; il polo di ingegneria e dell’area tecnologica resterà nelle sede attuale e nella contigua area Scheibler (gli atti sono all’approvazione presso gli organi competenti); il polo di veterinaria e delle attività coordinate agro zootecniche si sposterà a S. Piero a Grado; e ovviamente il polo «storico» dell’Ateneo rimarrà radicato intorno alla Sapienza, e destinato a funzioni di governo universitario e di rappresentanza.

In questo percorso ideale si inserisce anche il polo di ricerca del CNR dell’area S. Cataldo, messa a disposizione dall’Università.

Un grande disegno urbanistico, dunque, che è anche un grande disegno universitario. Esso modifica per molti versi le attuali destinazioni ma sembra corrispondere alle nuove esigenze di una Università e di una città proiettate verso gli anni Duemila.

 

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Senza inseguire troppo facili effetti di immagine, l’Università di Pisa, ha comunque bisogno di non sfuggire al confronto con altri atenei e di presentare all’esterno le sue credenziali e il suo patrimonio scientifico e culturale. Occorre pertanto porre l’Ateneo al centro di manifestazioni e di iniziative di rilevanza internazionale.

Pensiamo per questo alla possibilità di organizzare due grandi convegni: uno sul1e tecnopoli e sui parchi scientifici (che potrebbero avere precisi punti di riferimento proprio nell’area pisana) e l’altro su una questione, quella della Torre, che ha assunto improvvisa popolarità e che richiede una dovuta attenzione e riflessione anche da parte dell’ambito accademico ufficiale.

Sulla stessa linea, un contributo determinante potrebbe derivare, con iniziative specifiche, dalla Commissione museale di recente costituzione, che può far conoscere settori di eccezionale valore artistico e scientifico. In particolare questo contributo può pervenire dall’Orto Botanico, dal Gabinetto Disegni e Stampe e dal Museo di Storia Naturale e del Territorio di Calci, che ha iniziato un’attività di ricerca autonoma con finanziamenti sul 60% e con una convenzione con il Parco del Ticino, e che ha rafforzato la propria attività didattica anche con una convenzione con il Comune di Pisa.

Le strutture museali sono qui concepite come centri culturali rivolti innanzitutto all’Università ma anche, ed in modo non marginale, alla Società. Entro l’Università: si tratta non solo di custodire beni ingenti sotto il profilo patrimoniale, ma di favorire la salvaguardia delle attività di ricerca e didattica dell’Università di Pisa (siano esse del passato o attuali, siano esse oggetti naturali, strumenti scientifici, manufatti di valore storico, artistico, ecc.).

Entro la società: si tratta di aprire, alle scuole e all’educazione permanente, attraverso le strutture museali, quanto di culturalmente vivo si attua nell’Università.

E, nel complesso intreccio di attività universitarie che hanno ricadute all’estero, vanno sottolineate quelle poste in essere dal CUS pisano, che ha acquisito notevoli meriti in campo nazionale ed internazionale e che, ormai dotato di attrezzature modernissime ed efficienti, attira nelle varie branche sportive, grazie alla capace opera dei suoi dirigenti, un sempre maggior numero di studenti nel duplice versante dell’educazione fisica e della pratica sportiva.

Ma è soprattutto nei rapporti internazionali che Pisa può esercitare ed esplicitare tutto il peso del suo prestigio culturale.

Sei secoli e mezzo di Storia, una luminosa tradizione scientifica una catena ininterrotta di grandi maestri fanno dell’Ateneo pisano un polo di attrazione per studenti e studiosi di ogni paese. Nella situazione attuale, il processo di internazionalizzazione dell’università è ulteriormente accelerato: perché le frontiere della didattica e della ricerca non possono più coincidere con quelle nazionali, perché si è alla vigilia dell’integrazione europea anche a livello universitario (ora che l’Europa diviene sempre più libera, più unita, più grande) e perché è solo su basi plurinazionali che potranno essere affrontati i grandi progetti di sviluppo scientifico e tecnologico, le grandi ricerche interdisciplinari.

Per la verità Pisa si muove da tempo in questa direzione. Ha infatti stipulato numerosi accordi con Università straniere al fine di promuovere la cooperazione nel campo della ricerca e dell’insegnamento, di sviluppare lo scambio di docenti e studenti.

In linea con la propria apertura internazionale, l’Università ha aderito, sin dal 1987, al programma «Erasmus», promosso dalla Comunità europea per favorire la mobilità degli studenti universitari in tutti gli atenei d’Europa. I risultati conseguiti possono esser giudicati positivi: Pisa si è rivelata sede altamente appetibile per gli stranieri. E anche gli studenti pisani vanno muovendosi in buon numero (orientandosi in prevalenza verso Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna).

Nell’ambito delle discipline più propriamente scientifiche, ci si è avvalsi per lo più di altri aiuti comunitari, come il programma «Comett», finalizzato ad incrementare la cooperazione europea tra università e impresa, e ad assicurare una solida formazione degli studenti specie nel settore delle nuove tecnologie.

Sono sostanzialmente queste le principali prospettive strategiche dell’Ateneo pisano per ampliare la portata del proprio impegno internazionale. Gli ostacoli da superare non sono pochi. E tra questi si pongono in primo luogo l’esiguità degli stanziamenti comunitari rispetto al numero crescente delle richieste, la mancanza di attrezzature e soprattutto di alloggi destinati ad accogliere studenti e docenti nella nostra città. Si tratta di problemi di non facile soluzione. Ma poiché coinvolgono obiettivi di eccezionale rilevanza (anche economica) è auspicabile che vengano affrontati con decisione. Confidiamo che anche in questo senso, la costituzione dell’Azienda speciale per il diritto allo studio, con una gestione più agile e decentrata possa contribuire ad avviare soluzioni positive.

 

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Le dimensioni raggiunte, i risultati conseguiti, i collegamenti stabiliti a livello nazionale e internazionale, le proiezioni operate sul territorio fanno di Pisa una grande università. E questa posizione di prestigio è sostenuta da un solido apparato scientifico e amministrativo.

Un apporto insostituibile è fornito al riguardo dai dipartimenti, aperti a quelle attività - interdisciplinari e internazionali, convenzionali e contrattuali - altamente qualificanti per un ateneo. D’altronde i dipartimenti sembrano qui aver ampiamente superato la fase sperimentale e costituiscono una realtà operante. Verso di essi vanno indirizzati consistenti interventi dell’Ateneo, anche perché si rivelano strutture agili, flessibili e rappresentative, e costituiscono non solo organismi deputati alla ricerca scientifica, ma vere e proprie palestre di democrazia universitaria.

La necessità di mantenere e potenziare adeguate strutture sul piano tecnico e amministrativo, conferisce poi peculiare rilievo al Piano Informatico, varato da alcuni anni per provvedere alla liquidazione del trattamento economico e alla gestione delle carriere, per la gestione finanziaria, per l’automazione delle biblioteche (che si conta di poter «accorpare» anche se la realizzazione di tale progetto richiede, insieme a spazi adeguati, una visione, - da parte del mondo accademico - meno privatistica del patrimonio librario) e per l’adozione di un nuovo sistema, che renda più accessibili certe fonti di informazione e di certificazione, alleggerendo e rendendo più funzionale il pesante lavoro delle Segreterie Studenti.

Ai fini di una modernizzazione dell’Ateneo, è evidente che l’apporto del personale docente e non docente risulta essenziale.

Per il personale docente deve essere ribadita la necessità che i posti disponibili vengano messi a concorso con la frequenza prevista dalla legge, per attivare finalmente nelle Università un processo fisiologico di ricambio e per evitare il rischio di sanatorie che. creano sempre sperequazioni. I motivi di preoccupazione, che si riscontrano soprattutto fra i professori di seconda fascia e tra i ricercatori, sono in larga parte connessi con le incertezze che gravano sul loro futuro, anche a causa della mancata attuazione di certe disposizioni legislative. D’altronde la mobilità, orizzontale e verticale, del personale è una delle condizioni che favoriscono il trasferimento tecnologico.

Per quanto concerne i ricercatori, i motivi di malcontento sono ancora più accentuati, anche per la carenza di una legge che ne definisca in modo esauriente lo stato giuridico. E poi il numero dei ricercatori è complessivamente inadeguato e quello dei posti messi a concorso non consente all’Università il necessario ricambio di energie vitali, produttive. Ugualmente occorre non disperdere la competenza acquisita dai dottorati di ricerca, per i quali l’inserimento nell’università deve costituire una prospettiva interessante, anche se non unica, per il loro avvenire.

E veniamo al personale non docente, che ammonta a 1.579 unità, e che è largamente inadeguato alle esigenze del personale docente, numericamente assai più consistente. Questa carenza ha spesso rallentato molte iniziative e bloccato possibilità di sviluppo sia nel settore della ricerca, che in quello della didattica, sia in quello dei servizi. Va comunque detto che l’insufficienza numerica del personale è stata meno avvertita a causa di un livello di preparazione, di rendimento, di professionalità, generalmente elevato. Permane comunque anche da noi uno stato di disagio del personale non docente, legato ai ritardi con cui viene trattato il problema del rinnovo contrattuale.

I non docenti sono figure per certi versi atipiche. Si tratta spesso di collaboratori scientifici e di ricerca, di fonti di informazione preziose, di consulenti amministrativi. È quindi inevitabile che la loro formazione non si improvvisi, richiedendo una prolungata esperienza per raggiungere un buon livello qualitativo. E ogni loro ritardata sostituzione, per dimissioni, pensionamento o altro, crea notevoli problemi.

Se devono essere giudicate favorevolmente, negli ultimi anni, le assegnazioni di nuovo personale fatte direttamente nelle qualifiche funzionali, non altrettanto può dirsi per le modalità di avanzamento nella carriera che, secondo la normativa vigente, sono affidate o alla partecipazione a concorsi pubblici o alla partecipazione a concorsi riservati. Si tratta comunque di procedure che subordinano la mobilità verticale all’esistenza di posti disponibili, e che, mantenendo scoperto l’organico per tempi lunghi, frenano ulteriormente le potenzialità operative delle strutture universitarie. In vista dei nuovi ruoli e delle nuove funzioni dell’università appare opportuno che, all’interno di alcuni gruppi di qualifiche funzionali, individuati sulla base dei titoli di accesso e delle competenze ragionevolmente acquisibili, siano attivati meccanismi di promozione interna, legati ad una nuova idoneità.

Occorrono insomma concorsi più frequenti e nuove modalità di transizione da un livello all’altro.

 

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Noi ci auguriamo che quest’anno sia l’anno dell’autonomia universitaria. In tutte le nostre componenti emerge con grande insistenza la domanda di un nuovo sistema normativo. Ad ogni modo, in direzione di una più ampia democrazia d’ateneo, Pisa ha lanciato da tempo un segnale ben preciso.

La Giunta d’Ateneo, costituita con funzioni consultive circa sette anni or sono, ha ormai superato la fase della sperimentazione iniziale, ed è riuscita a vincere, con le prove fornite, le diffidenze iniziali provenienti da molte parti. Nominata dal Rettore e composta da professori di prima e seconda fascia, la Giunta ha sempre rispettato, in questi anni, i compiti istruttori e propositivi che le sono stati affidati, e la sua funzione di laboratorio di idee, senza mai intaccare le prerogative istituzionali degli organi di governo universitario. Al tempo stesso ha fornito un eccezionale contributo nello studio dei problemi, nella predisposizione delle proposte, ed anche nelle discussioni che ne sono seguite.

A ciascuno dei suoi componenti sono state affidate aree specifiche di competenza, cosicché si è agevolata una sempre maggiore specializzazione attorno ai molteplici e complessi problemi dell’università.

Deve anche esser sottolineato che la Giunta ha saputo mantenere ottimi rapporti con il personale non docente con il quale ha spesso impostato una varietà di questioni richiedenti competenza amministrativa e sensibilità politica.

È mio dovere ringraziare i componenti della Giunta di Ateneo per la fattiva e preziosa opera di collaborazione prestata: dal Prorettore prof. Cavallini, ai professori Cipolloni, Galoppini, Gianni, Messerini, Morelli, Pierotti, Russo, che stanno prodigandosi con entusiasmo e con ottimi risultati in una molteplicità di settori strategici, contribuendo alla riuscita di un esperimento che, mi auguro, avrà in futuro più ampia estensione.

Un ringraziamento particolare al Direttore Amministrativo Giorgio Coluccini, che ha così bene iniziato l’assolvimento del suo incarico, al suo predecessore Mario Nencetti, che ha lasciato nell’amministrazione il segno della sua personalità e della sua preparazione, a tutto il personale docente (con cui ci sarà occasione d’incontrarci nelle riunioni del Corpo Accademico) e al personale non docente. Un pensiero deferente a coloro che ci hanno lasciato, un saluto affettuoso agli studenti di questo Ateneo a cui auguro che possano ritrovarsi domani in una società migliore e più giusta.

Con questo auspicio dichiaro aperto l’anno accademico 1989-1990, 646° dalla fondazione di questa Università.

 

Da: Annuario per gli anni accademici 1987-88/1988-89/1989-90, 644°-645°646° dalla fondazione, Università degli studi di Pisa.

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