1945 - Inaugurazione a.a. 1945-1946

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Palazzo della Sapienza.

Inaugurazione a.a. 1945-1946 - non_disp

Relazione del Rettore per l’anno accademico 1945-1946

 

Autorità, Colleghi, Studenti, Cittadini[i],

L’anno accademico ’44-45 fu inaugurato in questa aula storica con fervore di propositi e di manifestazioni augurali. Ricordiamo che in quel giorno fu reso qui degno onore ai rappresentanti delle Nazioni alleate, intendendosi cosi fare solenne attestazione di gratitudine ai vindici della nostra libertà e agli invocati restitutori del diritto dei popoli. Piace oggi riaffermare gli stessi sentimenti, ma insieme la fiducia che l’aiuto - vorremmo poter dire più che l’aiuto, la solidarietà - delle grandi democrazie - e fra queste poniamo la Francia della grande rivoluzione - non debba mancare giammai a questa nostra Italia a cui tanto deve il mondo e che alla luce delle grandi tradizioni della sua civiltà e del suo Risorgimento, intende risorgere ed essere la Giovane Italia di Giuseppe Mazzini.

Ma non dobbiamo dimenticarci quanto aspra, lunga appaia ogni giorno più la via da percorrere, ed anche per le Università, di cui io debbo qui soltanto parlare, l’anno che è ormai già iniziato, si presenta di duro quotidiano lavoro, per cui dobbiamo con una severa disciplina, non da altro dettata che da un preciso apprezzamento della dolorosa realtà e dal senso del dovere, riunire e moltiplicare le nostre energie, associare, integrare, perfezionare consigli e iniziative, ricordando che il fiorire della nostra Università non è soltanto ragione di legittimo vanto cittadino - legittimo anche iure hereditatis - ma vitale interesse di tutte le classi sociali, sollecite del loro diritto ad una vita sempre più sana, più feconda e produttiva in ogni forma di attività, più libera, più elevata e consapevole, perché promossa, difesa, presidiata, illuminata dalla scienza nel suo perpetuo e libero sviluppo.

La gravità del compito che mi assunsi quando fui chiamato a questo alto ufficio - e piace dare rilievo a un fatto, che i rettori delle Università sono fino ad oggi, coi presidi delle Facoltà, i soli magistrati (la parola non è impropria) eletti per libero suffragio - era già apparsa al mio collega Luigi Russo, che, per conferma data dagli Alleati alla sua nomina disposta dal governo del 25 luglio, ha tenuto per notevole parte dell’anno accademico il governo dell’Università, vincendo con la sua energia gravi ostacoli alla ripresa della vita dello Studio.

Ma altre difficoltà che si ritenevano meno tenaci, mostrarono una resistenza maggiore di quanto si potesse credere, e non è inutile ricordare che la stessa derequisizione di importanti istituti universitari occupati dagli Alleati avvenne con grave indugio, per necessità che non debbono essere giudicate da noi, ma che elusero via via la nostra legittima attesa, sicché solo col mese di ottobre si ebbe l’effettiva disponibilità dei locali requisiti e per noi indispensabili.

I lavori di ricostruzione e di riattamento, come già si era fatto per gli edifici non requisiti, furono iniziati immediatamente e continuano con alacrità. Ma non preoccupa solo, s’intende, un pregiudiziale problema edilizio, perché molti istituti sono stati privati del tutto, e gravemente depauperati, del loro materiale scientifico. Chi pensi, al ricchissimo gabinetto di Chimica agraria, e in genere all’arredo di tutti gli istituti di quella Facoltà che fin dalla sua fondazione é stata, e dovrà tornare ad essere, una gemma dell’Università di Pisa, e oggi ne veda il materiale ammassato e disperso, deteriorato o manomesso, avrà vivo il senso della triste realtà e della urgenza di adeguate provvidenze.

Danni, e talvolta rovine fatali, che, più o meno, possono lamentarsi in ogni istituto, ma la cui gravità sembra scompaia di fronte alla sistematica depredazione per opera della culta barbarie alemanna del tesoro che l’amore di insigni maestri aveva sapientemente raccolto e consacrato in alcuni dei maggiori nostri istituti scientifici, l’Istituto di Fisica e l’istituto di Fisiologia.

Per buona sorte, e grazie ad una sollecita azione, una parte degli strumenti di fisica è stata ritrovata a Milano, ma è ormai perduta ogni speranza che qualche cosa almeno della inestimabile biblioteca e della ricca suppellèttile dell’Istituto di Fisiologia, possa essere rintracciata. Professori di Università tedesche chiusero il prezioso tesoro in diecine e diecine di casse destinate ai loro studi, ma par certo che un’incursione aerea sul porto di Genova le togliesse alla cupidigia dei predatori, ma anche alle nostre speranze e al nostro buon diritto.

Ma se anche tutti gli edifizi universitari fossero rimasti in piedi, e le porte, le finestre, i vetri fossero intatti, e il mobilio, l’arredo, il macchinario rispondessero agli inventari che, purtroppo, dovranno essere incresciosamente aggiornati, se i primi e i secondi occupanti - non ne dimentichiamo alcuno - avessero custodito quello che era d’altri, non dico con la cura del buon pater familias, ma con un senso di rispetto quale esige la scienza, che è un bene di tutti, graverebbe pur sempre su noi, come su tutte le Università italiane, il problema vitale come garantire il funzionamento, lo sviluppo dei nostri Istituti nella crisi generale che preme sul Paese, e che per noi si concreta nel costo impressionante del materiale indispensabile ai quotidiani rifornimenti; come mantenere le nostre biblioteche nelle loro collezioni preziose, ravvivarle dei nuovi apporti della scienza, conservare insomma alla scuola superiore italiana, che sarà forse la base più solida, come elevata forma di lavoro, per la ricostruzione nazionale, la sua dignità e la sua efficienza, sicché non isteriliscano o deviino a fini meno alti e meno nobili le riconosciute superiori virtù della stirpe.

Il problema assume così carattere generale, ma Pisa ha avuto più di ogni altra città universitaria italiana a soffrire della guerra ed ha quindi le sue legittime, dolorose esigenze, il suo diritto da far valere. E proprio in questa aula io ne dissi con voce accorata di figlio di questo Ateneo, che ad esso ha legato la sua vita, dal 1890, può dirsi, fino ad oggi, a Ferruccio Parri, e additandogli le immagini qui raccolte dei nostri maestri, gli chiesi se tanta luce di esempi dovesse mai restare sterile. E gli feci anche presente che l’Università di Pisa, la sola voluta e preordinata nei secoli come Università toscana dai reggitori di un tempo, fossero i Medici o i Lorena o lo stesso Napoleone, ed ancora oggi Università di tutta la Toscana occidentale e marittima, che spinge fin verso la Liguria a un antico confine toscano, la Magra, ed oltre accogliendo numerosa la gioventù della Spezia, i benefici e le provvidenze della sua salda organizzazione, intende vivere senza insidie, sicura dei suoi istituti e, per essi, del suo avvenire. E per tutto il Capo del Governo del tempo si compiacque darmi affidamento.

Rendendo pertanto conto della vita universitaria nell’anno decorso, piace appunto ricordare, senza scendere a particolari di contrasti forse troppo temuti ed esagerati e ad ogni modo felicemente superati, che il buon diritto di Pisa, anche in rapporto ad una equilibrata concezione delle esigenze generali della cultura nei limiti della economia nazionale, fu pienamente riconosciuta oltre che dai Capi del Governo, da vari ministri che visitarono Pisa e dalla saggezza delle stesse autorità accademiche fiorentine, e ricordo il proposito, che ai Rettori delle tre Università toscane, a vario titolo degne tutte di rispetto e di difesa, - e l’iniziativa è del collega di Siena - convenga avere quante volte occorra, uno scambio di idee per una concorde azione sui problemi interuniversitari che interessano la nostra regione.

Nel passato anno accademico l’Università di Pisa ha funzionato in tutte le sue Facoltà, ha aperto i suoi collegi, ha accolto sezioni dell’Università di Firenze e dell’Istituto Superiore di Venezia, e ha potuto segnare nel suo albo d’onore i nomi di numerosi giovani che, nonostante le difficoltà spesso esasperanti che si oppongono a chi voglia studiare sul serio, hanno conseguito la laurea con la maggior lode. E come è giusto rito, i loro nomi qui si ricordano[ii]. Abbiamo tutti, professori e studenti, insegnato e studiato col cuore stretto, esplorando le ferite doloranti e profonde del bel corpo della madre comune e guardando con trepidazione al domani, che non dobbiamo dire incerto, ma di troppo ancora lontano dai nostri propositi e dalla nostra fede di realizzazione.

Quando la vita universitaria si svolgeva, come tutta la vita italiana, nella sua modesta normalità - sarebbe troppo affermare che fosse anche allora adeguatamente apprezzata la funzione nazionale e sociale degli studi superiori e fosse, non soltanto a parole, riconosciuto il valore produttivo del sapere e dei suoi istituti - le relazioni dei Rettori avevano un loro schema tradizionale, in cui abbondavano le cifre, scarseggiavano, di regola, volutamente, le idee, e la fredda esposizione di rito era al più soffusa da qualche grano di incenso ai limina potentiorum, che, nei tristi tempi fascisti, fu profuso in turpe copia. Oggi il primo posto è per le idee e vi è luogo soltanto alle cifre che abbiano un valore di indice economico e ad un tempo morale. Nemmeno voi, Onorevole Ministro, aduliamo,: vi esprimiamo soltanto la nostra fiducia e, più la nostra attesa.

Cifre prima di tutto di bilancio, ma che… non potremmo precisare. Si può parlare di bilancio ordinario e di competenza, in cui si equilibrino senza ricorrere a fallaci artifici contabili, come si fa, entrate e spese, prima che con provvedimenti straordinari, ma organici, si restituisca l’Università nelle condizioni di vivere, non di vivacchiare stentatamente? Ed è possibile parlare di una regolare amministrazione quando le stesse somme dovute per applicazione di legge giungono alle casse universitarie, se non con decurtazione, con ritardi perturbatori di ogni buona regola? I provvedimenti straordinari che spettano al Governo -e sarebbe ingiusto credere che non ne abbia coscienza, e che qualche cosa non abbia fatto e non faccia - riguardano così la parte edilizia, che è stata meglio curata, e il ripristino in efficienza dei nostri Istituti. Pisa ha avuto soltanto un concorso straordinario di cinque milioni e mezzo, che, risanato il bilancio, si sono ridotti a quattro, mentre, le richieste, in generale discrete, dei colleghi ascendevano, per i bisogni più urgenti, a oltre trentatre milioni.

Il Ministro Arangio,che non ignorava e riconosceva in pieno la legittimità delle richieste di Pisa, mi faceva osservare che Pisa era stata trattata bene, ma che egli doveva distribuire fra, tutte le Università e Istituti Superiori italiani cinquanta milioni strappati a fatica al Tesoro. Era facile rispondere, e lo ripeto a Voi, On. Ministro, che a un ben magro convivio sono stati così invitati i rappresentanti dell’alta cultura italiana, e sarebbe ben doloroso se quella cifra rappresentasse il segno di quello che un Governo dell’Italia rinnovata crede di dovere alla Scuola Superiore.

Il Rettore della Università di Bologna, prof. Edoardo Volterra,ebreo e per questo epurato, figlio del grande matematico che studiò e fu maestro nella nostra Università, e lui stesso non dimenticato- docente della no-stra Facoltà di Legge, in una riunione della Commissione per la istruzione della Consulta, presente il Ministro Arangio, non esitò ad affermare che se non si fosse provveduto alla dotazione dei Gabinetti scientifici, li avrebbe senz’altro chiusi. Sarebbe stata chiusa la più antica Università d’Italia e la seconda del mondo! Io sono stato più audace, e vengo così, fuori di ogni rigore di schemi, a dire quel che più importa del nostro bilancio. Ho restituita a tutti gli Istituti scientifici le somme iscritte nel preventivo del ’44-45 e che non erano state corrisposte, rilevando la tenuità del contributo, ma riconoscendo, un diritta e affermando un principia. E per l’esercizio. ’45-46 ha decuplicato le dotazioni. Dice il nostro popolo nel suo sano semplicismo: quel che ci va ci vuole: i bilanci degli istituti di cultura, come di quelli di assistenza, non si debbono considerare come i bilanci familiari, specialmente degli impiegati, in cui la spesa é vincolata dall’entrata, ma deve seguirsi il criterio apposta. Conto sia miglior consiglio, anche di fronte al Governo che dovrà provvedere - .e non parlo solo del Ministero dell’Istruzione, ma di tutto il Governo - presentare un bilancio deficitario rispondente ai più urgenti e reali bisogni dell’Università, che contribuire passivamente e con grave responsabilità all’isterilirsi e all’esaurirsi dei nostri istituti e della nostra vita scientifica.

Analogamente non ho tollerato - ed in questo mi apriva la via lo stesso Ministro Arangio che fissava le retribuzioni per gli incaricati, Esterni - che un professore universitario potesse essere pagato per un secondo insegnamento. Con ottocento lire al mese, con meno di 70 lire per lezione, ed ha elevato il compenso mensile a 2000 lire. Anche gli impiegati di amministrazione e i subalterni, che non hanno bisogno, li assicuro, di far la voce grossa perché i loro diritti siano da me, sempre riconosciuti, hanno riavuto - non voglio dire goduta - il miglior trattamento che ci fosse consentito, essendo assurdo che gli impiegati universitari, che adempiono le stesse funzioni, e spesso nella stessa stanza, abbiano trattamento diverso dai loro colleghi statali.

Parlando ancora di bilanci debbo aggiungere che purtroppo negli anni passati per cause varie i bilanci non hanno mai rispecchiato le effettive condizioni economiche dell’Università. Ma d’ora innanzi voglio sperare che non sarà più così. Poiché anche in questa si debbono disperdere le tracce dei deprecati sistemi fascisti. Esempio tipico del sistema fascista è offerto dai bilanci dei Collegi che fiancheggiavano la nostra Scuola Normale e che purtroppo hanno scarsa speranza di vivere. La loro vita era affidata a contributi degli Enti pubblici in gran parte non regolarmente stanziati in bilancio, ma attinti volta a volta da fonti indeterminabili, per azione o per ordine personale di Ministri o di altri gerarchi patroni, sicché non è stata neanche ripetibile in sede di liquidazione quanto ci sarebbe stato dovuto e che non fu tempestivamente esatto, dal defunto Ministero delle Corporazioni. I bilanci fascisti si fondavano altresì su contributi, detti volontari - stile fascista! - delle numerose e ormai defunte federazioni del regime o su contributi di aziende industriali travolte dalla guerra. Così è avvenuto che nell’anno. ’44-45 i Collegi hanno funzionato allo scoperto, onde la necessità di un accordo già intervenuto tra Università e Scuola Normale per sanare le passività, e il sopraggiungere provvida dell’aiuto del Ministero dell’Assistenza post-bellica che ha reso possibile alla Scuola Normale e all’Università di provvedere all’accoglimento e all’assistenza di un numero notevole di giovani a vario titolo meritevoli.

Ma oggi sono gli agrari, gli industriali, i grossi commercianti che debbono considerare l’Università non soltanto come la scuola che prepara alla vita e all’agiatezza i loro figliuoli, ma l’organo di consulenza e di propulsione, diretta e indiretta, delle loro stesse attività e dei loro interessi, e ad essa non debbono negare per parte loro i contributi necessari perché assolva nell’interesse stesso delle loro classi, i suoi compiti scientifici e sociali. E sarebbe grave sintomo - non dobbiamo tacerlo - sé ai bilanci esausti delle Università sopraggiungesse prima il contributo dei lavoratori. E passo a dire brevemente del Consorzio.

Giovanni Gentile, scolaro e maestro in Pisa, il cui nome - prescindendo dal giudizio, superato dolorosamente dagli eventi, che si dia della sua acquiescenza politica, ripugnante, io ho sempre pensato, all’intimo della sua coscienza e allo stesso principio della sua filosofia - deve esser pronunziato sempre con rispetto, specialmente in questa Università, pose a fondamento della sua riforma del ’23, che in verità non aveva nulla a vedere col fascismo, che le si sovrappose, impreparato com’era a risolvere qualsiasi problema di cultura, il principio della autonomia. Pisa ebbe allora il doveroso riconoscimento della sua importanza come grande centro universitario, ma per la natura stessa della riforma doveva anch’essa ripetere dal concorso delle energie locali ogni ulteriore sviluppo della sua vitalità. Di qui l’ampliamento, il consolidamento, l’obbligatorietà del Consorzio, che rappresenta anche oggi un organo essenziale di solidarietà interprovinciale, in cui non deve venir meno, anche per la felice esperienza di non breve volger di anni, la fiducia della nostra Università. Negli anni di guerra la vita del Consorzio è stata languida, direi quasi inerte: i contributi degli Enti in gran parte non sono stati versati e, forse, non sempre sollecitati. Anche per il Consorzio bisogna liquidare il passato e dire ancora una volta, come per tutto quanto riguarda questa nostra Italia, anche in fatto di istruzione, incipit vita nova. Questo si sta facendo ed io,ricordo con compiacimento la riunione tenuta, or non è molto, quando si sarebbe dovuto inaugurare solennemente l’anno accademico, per una intesa felicemente conclusa coi rappresentanti intervenuti per la circostanza dalle contermini province.

La popolazione scolastica è anche per la nostra Università in continuo aumento, oltre 4000,e col nuovo anno crescerà ancora, specialmente se si attuino, come io sto facendo col concorso dei colleghi Simon, Bonatti e Tongiorgi, che pubblicamente ringrazio, e attuando, così il programma del Ministero dell’Assistenza post-bellica, alloggi e mense universitarie. L’istituzione di alloggi e mense gratuite od economiche sta anche in rapporto con la istituzione dei corsi integrativi per reduci e assimilati che si tengono regolarmente.

Nel numero degli alunni che ho indicato, non sono compresi gli iscritti alle sezioni distaccate in Pisa delle Facoltà fiorentine di Economia di Magistero e della Sezione dell’Istituto di Ca’ Foscari di Venezia. I corsi di queste Sezioni furono tenuti regolarmente al pari dei corsi di Ingegneria distaccati da questa Università in Firenze. In particolare Venezia, che durante la guerra del 15-18 ci chiese ospitalità per i suoi alunni e per i più dei suoi maestri, ai quali si aggiunsero, richiesti, i nostri, fu lieta della nostra ospitalità e ci espresse non solo soddisfazione ma gratitudine. Il Senato Accademico é concorde con me nell’augurare che presto comunicazioni ferroviarie rispondenti a evidenti necessità dei nostri studenti e delle loro famiglie, consentano a non protrarre la durata di questo modus vivendi delle sezioni staccate, ma d’altra parte non è possibile non riconoscere la validità delle ragioni di carattere economico ed anche didattico, perché una qualche ordinata frequenza sia resa possibile, che legittimano le richieste insistenti delle famiglie per il mantenimento delle sezioni staccate, richieste di cui si sono rese efficaci interpreti le stesse Autorità locali.

Non è infine fuor di luogo che si faccia cenno anche dei corsi di lezioni tenuti da docenti della nostra Università a richiesta di ufficiali dell’armata americana. Questi corsi sono stati tenuti nelle aule della Sapienza per lingua e letteratura italiana dalla prof. Lia Griselli, per la Storia dell’Arte dal prof. Riccardo Barsotti, per la Storia delle Università italiane dal prof. Augusto Mancini. Furono invece tenuti in Livorno presso il Comando delle Forze Armate Americane corsi di Economia Politica dal prof. Giuseppe Bruguier, di Diritto Internazionale dal prof. Costantino Iannaccone, ,di Filosofia del Diritto dal prof. Vincenzo Palazzolo, di Lingua e Letteratura italiana dalla prof. Lia Griselli. Tutti questi corsi furono frequentati assiduamente e il Comando americano ci espresse la sua soddisfazione.

Numerosi furono anche gli ufficiali e militari degli eserciti alleati che frequentarono i corsi ordinari delle nostre Facoltà, ed un ufficiale americano, John Geanokoplos, già laureato in Minneapolis, iscrittosi per la laurea in lettere, sostenne, dopo aver frequentato regolarmente, gli esami di integrazione e fu laureato con una tesi sulla «Penetrazione della cultura bizantina in Italia dal secolo XI al secolo XIV». Per quanto riguarda i nostri rapporti culturali coi paesi alleati, mentre sì è preso atto con compiacimento della istituzione di borse di studio fatta dall’America e numerosi nostri giovani di tutte le Facoltà, laureati con eccellente votazione ed esperti nella lingua inglese, hanno partecipato ai relativi concorsi, piace ricordare che è stato iniziato uno scambio di idee con l’ufficio di cultura dell’Ambasciata inglese in Roma per la eventuale fondazione in Pisa di un Istituto universitario italo-inglese.

È doverosa consuetudine che, rendendo conto della vita universitaria, si rivolga un saluto di dolente commiato o di lieta accoglienza ai colleghi che passano ad altre Università, che vengano a far parte della nostra famiglia. Ma dei trasferimenti annunciati e non peranco definiti non è dato di parlare, e nemmeno del ritorno alla loro, sede di origine di colleghi che da anni hanno prestato la loro opera nel nostro Ateneo e di cui può bene avvenire la conferma fra noi. Resta invece che io esprima il vivo rincrescimento della Università per il passaggio ad altro studio dei colleghi Alessandro Alessandrini, ordinario d’igiene e Mario Gozzano, ordinario di Psichiatria. L’uno e l’altro mi hanno assicurato che serberanno grato ricordo di Pisa, come Pisa serberà di loro e in particolare di collega Alessandrini si è compiaciuto informarmi che come segno del suo memore attaccamento alla nostra Università ed al suo Istituto di Igiene, manterrà a Pisa la sede della sua pregiata rivista, assicurandoci per tal modo il beneficio di preziosi scambi di periodici e di libri. Gli esprimo pubblicamente la nostra gratitudine.

Collocato al riposo di ufficio per ragioni di ordine politico, ha cessato di far parte della nostra famiglia il prof. Armando Carlini, ordinario di Filosofia teoretica, che fu insegnante di rara efficacia e rettore operoso.

Più doloroso compito è quello di ricordare i colleghi che ci hanno lasciati. Primo, per la tragica pietà della sua fine, Alberto Marassini, ordinario di patologia generale medica, affezionato per lunga consuetudine di studi e di magistero alla nostra Università, apprezzatissimo cultore nel campo della sua disciplina, morto n nella incursione del 31 agosto 1943. Ricordiamo anche Francesco Sanfelice, che fu professore ordinario d’igiene, morto in pensione, e tenne onoratamente la cattedra, e il prof. Paderi che fu per molti anni aiuto e incaricato nella Facoltà medica, stimatissimo per la coscienza del suo insegnamento.

Altri colleghi meritano speciale ricordo: Giovanni D’Achiardi, Cosimo Lombardo, Alfredo Pozzolini.

Di Giovanni d’Achiardi, che successe meritamente al padre Antonio nella cattedra di Mineralogia, onorato delle più alte cariche cittadine per la dignità della vita e la versatilità dell’ingegno e delle attitudini, senatore del regno, basti qui dire che nessuno, fu più di lui amante di questa nostra Università, di cui per unanime consenso sarebbe stato confermato, come già David Supino, Rettore a vita, se non si fosse abbattuto sulla sua salda fibra l’impeto del male che lo colpì duramente e lo trasse lentamente al sepolcro, lasciando vivo il desiderio così dei suo alto magistero come nella sua grande bontà.

Cosimo Lombardo fu insigne maestro della nostra Clinica dermosifilopatica, spirito colto, studioso appassionato non solo della sua disciplina, ma della storia della scienza e particolarmente anche della storia del nostro Ateneo. Tutti ricordano l’opera da lui prestata nella felice organizzazione del Congresso delle Scienze nel 1939, tutti, colleghi e discepoli, rimpiangono la sua fine immatura.

Né dobbiamo dimenticare un uomo che come studente e come maestro, visse, sempre intensamente la vita della nostra Università, Alfredo Pozzolini che non ebbe la gioia di vedere risplendere di nuovo la luce della libertà in cui fermamente credeva.

Maestro anche nella nostra Università fu, sia pure per breve tempo, Giovanni Amendola, incaricato di Filosofia teoretica, prima che preferisse all’insegnamento superiore, a cui per virtù d’ingegno e solidità di cultura sarebbe stato indubbiamente chiamato, l’arringa della vita politica in cui portò fermezza di principi e dignità di carattere fino al sacrificio della vita, che gli fu tolta nel suo pieno rigoglio, dalla violenza fascista. Il suo magistero andò così oltre quello della cattedra e l’Italia risorta a libertà giustamente lo esalta come uno dei suoi martiri più luminosi.

Giovanni D’Achiardi lasciò per testamento 20.000 lire all’Università e il compianto prof. David Supino L. 10.000. È stata partecipata, ma non ancora perfezionata, la donazione di L. 30.000 da parte della sig.ra Teodolinda Pozzolini ved. Cigheri in memoria di suo fratello dr. Canzio Pozzolini, già assistente alla Clinica, Veterinaria del prof. Paltrinieri e deceduto in Sardegna durante la guerra.

A queste liberalità di persone della nostra famiglia si aggiungono le donazioni di L. 143.000 del sig. Livio Bàglini in memoria del figlio ing. Vittorio, della Biblioteca della nobile famiglia Orsini Baroni, dovuto alla Baronessa Ernesta Bonelli Orsini Baroni, biblioteca di oltre 8.000 volumi, e, da parte del dr. Emilio Macciò, di un affresco galileiano del Bezzuoli, rappresentante «La caduta dei gravi».

Mentre esprimo ai testatori e ai donatori la gratitudine dell’Università mi auguro che i contributi ad accrescere con fondazioni e lasciti il nostro patrimonio, che è così tenue di fronte ai bisogni, si facciano più frequenti, e si tenga conto delle condizioni in cui si svolge la nostra assistenza per gli studenti più degni e bisognosi. Le numerose borse di studio sono ormai irrisorie, e se non intervengano provvedimenti integrativi di governo, converrà fonderle perché non servono, le più, a mangiare per un giorno dei 365 dell’anno. Il concorso del Ministero dell’Assistenza postbellica si attua solo per i reduci, i partigiani e i danneggiati dalla guerra, ma tutto il problema dell’assistenza ai nostri studenti dovrà essere preso in esame e risolto con larghi criteri e con mezzi non inadeguati. La Cassa e l’Opera scolastica fanno tutto quello che possono, ma basta pensare, non dico al costo della vita, ma a quello pauroso dei libri per avere il senso preciso della realtà e insieme del nostro dovere. Dico questo, presente il Ministro della Istruzione e confido, anche per questo, nella sua sollecitudine.

Un ricordo particolare, poiché di essi, quasi vitandi, non era lecito parlare, è dovuto a quei colleghi che furono allontanati dall’insegnamento per motivi razziali e che ci auguriamo di rivedere presto fra noi con titolo di onore, Enrico Emilio Franco, Mario Racah, Ciro Ravenna, Paolo Kristeller. Aggiungo il nome di Cesare Sacerdotti, colpito dall’inumano ostracismo pochi giorni prima del termine fatale di quiescenza, studioso e maestro insigne, amico carissimo, al quale si volge il mio pensiero commosso. E non mi sfugge, e voglio sia ricordato, che una raccolta dei suoi scritti destinata a ricordare il suo alto magistero, poté vedere la luce soltanto tacendo della sua persona e dell’onore che si voleva rendergli. L’Università non deve dimenticare che anch’essa vide affisso alla porta della Biblioteca, per ordine di un ministro italiano, che era anche cultore di storia, prima il divieto di dare in lettura libri di ebrei, poi di non consentire agli ebrei nemmeno l’accesso alla sala di lettura, unico conforto, oltre la fede; in tanta miseria. Pisa, in verità nonostante l’imperversare del fascismo, ha lasciato che restasse intitolata ad Alessandro d’Ancona, ebreo, una piazza cittadina. Ma a pochi passi di distanza avveniva l’eccidio esecrando di Casa Pardo Roques!

Lasciando dietro a noi un mare così crudele, che ci è bastato toccare, e correndo miglior acqua, parliamo dei nostri studenti. Io so che anche nei tempi della servitù non pochi, forse potrei dire molti di loro, soffrivano, e mi si stringeva il cuore quando li vedevo venire, monturati d’obbligo, agli esami, uomini e donne. Ma fin da quando inconsultamente il fascismo organizzò i Littoriali e consentì una qualche discussione su temi che il fascismo fissava, ma che erano per esso pericolosi, gli studenti, quantunque concorressero al titolo di Littore, si preparavano ad essere i partigiani della libertà. Dove si insinua, anche se vigilata, la libertà di pensiero e di critica, non c’è mai da disperare!

Io ho ferma fede che i nostri studenti comprendano sempre più e meglio il valore inestimabile della libertà dello spirito e della maturata formazione della coscienza, che abbiano un rispetto sacro di quanti per vie diverse ed opposte cercano una luce di verità che aborra da ogni violenza, anche solo verbale, da ogni esclusivismo, da ogni totalitarismo, di qualunque specie sia, amando la serenità della discussione ed evitando le vie troppo brevi delle imposizioni e del molteplice dogmatismo per le vie lunghe e meditate della critica e della libera elezione.

Sono lieto di rinnovare qui, anche se siano stati proprio gli studenti a ritardare con una non necessaria agitazione questa cerimonia, che oggi si compie presente Voi, on. Ministro e carissimo amico, il mio saluto più cordiale ai goliardi pisani. Ricordo che l’Unione goliardica, organizzò una libera celebrazione del XXIX maggio, la Mostra della Stampa clandestina, l’Esposizione d’Arte di Pisa nel periodo bellico. Spetta ora agli studenti collaborare con noi nelle organizzazioni di assistenza, continuando nella via di feconda operosità per la quale si sono messi. Ma soprattutto raccomando loro la serietà e la continuità dello studio perché proprio dal fiorire degli studi e della scienza dipende in gran parte il nostro risorgimento.

Quel sentimento di insofferenza della servitù imposta dal fascismo doveva, prima o dopo, divenire coscienza e proposito d’azione. Così tutte le Università italiane hanno dato ancora una volta fiore di combattenti e di martiri alla causa della libertà, e solo per tal modo Pisa ritorna veramente alla gloria di Curtatone. Non possiamo dare ancora completo l’elenco dei nostri morti nei dolorosi anni di guerra, e non ci sentiamo di escludere dalla pietà del compianto nessuno dei giovani che hanno così perduto la loro giovinezza: nemmeno escludiamo quelli che prima del fatale 8 settembre, caddero combattendo per una causa non giusta e non sentita e quelli che furono vittime civili di eventi di guerra. Col nuovo anno scolastico, giusta una mia proposta, accolta dal Senato Accademico, sarà, nel giorno stesso della inaugurazione, conferita la laurea ad honorem agli studenti caduti nella lotta contro il fascismo e il nazismo o vittime comunque della barbarie nemica e delle vicende di guerra.

Ritorno allo schema del discorso inaugurale, e faccio quello che di solito si fa, in principio, che si ringraziano gli intervenuti, gli aderenti, quanti sentiamo, vicini o lontani; di avere con noi. Li vogliamo ringraziare tutti, Autorità, colleghi, studenti, popolani del buon popolo di Pisa, non soltanto per il loro intervento o la loro adesione, ma, per quello che per l’Università hanno fatto e, più, faranno: i rappresentanti del Governo che si renderanno testimoni delle condizioni e dei diritti, come anche dei propositi di questa Università, le Autorità delle province contermini, che hanno preciso il senso della solidarietà con le Autorità pisane, le rappresentanze del Comune, della Provincia, della Cassa di Risparmio, alle quali debbo a nome dell’Università una parola di affettuosa riconoscenza, gli studenti che hanno il diritto di avere uno studio saldamente organizzato e il dovere di studiare seriamente, il popolo, intendendo così tutte le classi sociali, che, senza eccezioni, debbono vedere nella scuola il presidio di una vita sempre più alta, più nobile, più pura, per cui non debbono esistere barriere fra popoli e popoli, se si abbia fede nella libertà e nel progresso di cui è fondamento la scienza.

Mi ricordava un collega che proprio quest’anno ricorre il primo centenario della nascita di uno dei maggiori maestri del nostro Studio, il cui nome mi piace associare a quello già ricordato, di Alessandro D’Ancona, il nome di Ulisse Dini, uomo di semplice vita, di altissimo intelletto, di insuperato valore nella scienza, di fervida dedizione al bene della sua Pisa.

Pisa sta risorgendo dalle sue rovine, ma non si potrebbe parlare di un suo effettivo risorgere, se questa nostra Università non tornasse ad essere l’alma mater, fonte di purissima luce, come fu in passato, per l’Italia e per il mondo.

 

Augusto Mancini

 

Da: Annuario dell’Università degli studi di Pisa per gli anni accademici 1941-42, 1942-43, 1943-44, 1944-45 e 1945-46.

[i] Per le agitazioni studentesche, intese ad ottenere la concessione delle Sezioni staccate di Economia, di Magistero, di Lingue, l’inaugurazione degli Studi fu differita, ma si ebbe così il piacere di accogliere in essa, gradito ospite, il Ministro dell’Istruzione Enrico Molè, che, dopo il discorso del Rettore, prese la parola riconoscendo tutta la importanza della nostra Università, centro vitale per la cultura nazionale, che avrà dal Governo ogni aiuto per il suo maggior fiorire, ed esaltò degnamente e con parola commossa la figura di Giovanni Amendola, di cui egli si onorava di aver fiancheggiato l’opera e ammirato, in gravi ore per la Patria, l’altezza dell’ingegno e la civile dignità fino al sacrificio.

[ii] I nomi sono riportati in elenco a parte.

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